17 aprile 1961 – Il via allo sbarco americano nella Baia dei Porci
17-19 aprile 1961: l’esercito cubano respinge l’invasione della Baia dei Porci.
Nel 1959, i giovani rivoluzionari Fidel Castro e Ernesto “Che” Guevara conquistarono l’Avana, dopo aver spodestato il regime filoamericano di Batista. Situata nel Mar dei Caraibi, a pochi chilometri dalla Florida, Cuba divenne la spina nel fianco degli Stati Uniti.
La vittoria di Fidel Castro e dei rivoluzionari cubani, sancita dall’arrivo a L’Avana nel gennaio 1959, divenne un serio problema per gli Stati Uniti dal momento che il nuovo governo socialista iniziò a rovesciare totalmente il potere di grandi aziende e banche d’affari americane sull’isola.
Nel giugno 1960 Fidel Castro aveva nazionalizzato le raffinerie della Esso di John D. Rockefeller e della Shell di Marcus Samuel, ad Havana Harbor e della Texaco di Joseph S. Cullinan, Thomas J. Donoghue, Walter Benona Sharp e Arnold Schlaet a Santiago de Cuba, perché si erano rifiutate di raffinare il petrolio sovietico. Il 17 settembre espropriò tutte le banche statunitensi compresa la First National City Bank of New York di James Stillman Rockefeller, la First National Bank di Boston, e Chase Manhattan Bank, di David Rockefeller, e altre società e in ottobre chiuse casinò e catene di alberghi Riviera e Capri, di Meyer Lansky, di Lucky Luciano, di Santo Trafficante Sr., di Frank Costello.
In campo agricolo, con la riforma agraria, il governo aveva distribuito ai contadini cubani, raccolti in società cooperative, 270.000 ettari di latifondo e porzioni di territorio già coltivato, circa 35.000 ettari della United Fruit Company di proprietà di Nelson Rockefeller (Rockefeller-owned United Fruit Company, UFCO) della quale Allen Dulles, direttore della CIA, aveva capitali azionari e come socio di maggioranza ne era presidente ed era rappresentante legale insieme a suo fratello John Foster Dulles, Segretario di Stato. Aveva perso proprietà la ITT Corporation e altre aziende americane, la maggior parte produttrici di zucchero, fra cui la West Indies Sugar Company di George Herbert Walker Jr., per un totale di 70.000 ettari, colpendo direttamente gli interessi dei proprietari delle società statunitensi.
Insomma Cuba rappresentava una minaccia per gli Stati Uniti sia dal punto di vista economico – visti gli interessi delle aziende americane colpiti dalle riforme castriste – ma soprattutto dal punto di vista politico. Il nuovo governo socialista di Cuba poneva infatti la minaccia di un’estensione del socialismo anche agli altri stati dell’America Latina, da sempre considerata il “cortile di casa” degli Stati Uniti.
L’invasione della Baia dei Porci (Playa Girón)
La loro nazionalizzazione, la chiusura dei casinò e la fine del turismo sessuale negli alberghi di lusso americani, come la riforma agraria per la redistribuzione delle terre ai contadini, avevano mandato un chiaro segnale di quale piega avesse preso Cuba sotto il nuovo regime castrista.
Fu in questo contesto che l’allora presidente statunitense Eisenhower pianificò un attacco (Operazione Zapata) per spodestare Castro, organizzando militarmente i gruppi di esuli cubani scappati dal regime. In base alle informazioni trasmesse dai i servizi segreti americani (la Central Intelligence Agency, meglio conosciuta come CIA), i 1.500 esuli cubani avrebbero potuto sconfiggere Castro. E’ interessante notare che i millecinquecento uomini della Brigata 2506 prima della Rivoluzione avevano posseduto complessivamente a Cuba quattrocentomila ettari di terra, diecimila case, settanta fattorie, cinque miniere, due banche e dieci zuccherifici. (Hugh Thomas, Storia di Cuba Einaudi 1971, p. 1035.
Una volta diventato presidente, John Fitzgerald Kennedy confermò l’invasione di Cuba, ma buona parte del piano iniziale fu stravolto, complici anche una serie di informazioni scorrette che giunsero a Washington. Quello che doveva essere la cacciata di Castro da Cuba si trasformò nella disastrosa invasione della Baia dei Porci.
L’impossibile impresa della Baia dei Porci
Le informazioni scorrette che giunsero a Washington e le mappe sulle quali la CIA aveva pianificato l’invasione di Playa Giròn – come viene conosciuta a Cuba – erano datate 1895 e perciò totalmente inadeguate. Il 15 aprile otto bombardieri B-26 americani lanciarono un attacco alla flotta cubana distruggendo cinque aerei e danneggiandone un’altra decina, era l’inizio di quella che lo storico Theodore Draper definì «Uno di quegli eventi rari nella Storia: un fallimento perfetto». Tra il 16 e il 17 iniziarono gli sbarchi a Playa de la Giròn dove ad attendere gli esuli invasori vi era la flotta cubana insieme all’esercito
La battaglia durò poco più di tre giorni, tutto terminò il 19 aprile, quando le forze dell’Esercito Ribelle e delle Milizie Nazionali Rivoluzionarie presero d’assalto le ultime posizioni dei mercenari a Playa Girón e gli invasori furono respinti lasciando sul terreno oltre 200 morti e quasi 1200, degli oltre 1400 invasori, vennero fatti prigionieri. A nessuno di loro fu torto un capello e furono scambiati con aiuti alimentari.
Tra i combattenti delle forze rivoluzionarie e la popolazione civile vi furono 176 morti e oltre 300 feriti.