I 13 giorni che sconvolsero il mondo
Riviviamo gli avvenimenti di quarantanni fa per ricordare quanto la pace sia preziosa, quanto importante sia la mobilitazione della gente e per ricordare Giovanni Ardizzone, caduto per difendere la pace e la libertà di Cuba.
In un altalenarsi di avvenimenti, tra ripetuti scambi di messaggi tra le due super-potenze; definizioni degli armamenti qualificati “difensivi” dai sovietici e “offensivi” dagli Usa; convogli di navi russe cariche di missili in viaggio nell’Atlantico verso Cuba; il blocco navale dell’isola da parte degli Stati Uniti eufemisticamente chiamato “quarantena”; un aereo-spia U-2 statunitense abbattuto su Cuba da un missile sovietico; contrapposizioni tra ‘ falchi” e “colombe” all’interno del Comitato Esecutivo del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti sull’opportunità o meno di bombardare Cuba con ordigni nucleari, dal 16 al 28 ottobre 1962 tutto il mondo visse questi incalzanti eventi con il fiato sospeso e tra grandi manifestazioni che chiedevano la pace.
Mai si era andati cosi vicini a quello che avrebbe potuto diventare il terzo conflitto mondiale e che, forse, nessuno avrebbe mai potuto raccontare.
Cuba rappresentava un elemento nuovo nel confronto della guerra fredda tra le due super- potenze dell’epoca. La Rivoluzione cubana aveva già resistito a diversi tipi di aggressione da parte degli Stati Uniti. Neppure la cocente sconfitta alla Baia dei Porci, nell’aprile 1961, aveva fatto cambiare mentalità ai governanti statunitensi: erano allo studio nuovi piani di intervento diretto contro Cuba, che un anno e mezzo prima aveva proclamato il carattere socialista della sua Rivoluzione.
In questo contesto, gli interessi cubani di difendere la propria Rivoluzione dagli attacchi provenienti dal Nord e gli interessi dell’unione Sovietica di giocare una carta pesante nella partita con gli Stati Uniti, trovarono il loro punto di unione nell’approntamento a Cuba di basi per missili.
Alla fine, dopo tredici interminabili giorni, il buon senso prevalse e la vicenda fini con il ritiro dei missili da parte sovietica in cambio di un impegno informale degli Stati Uniti a non invadere Cuba.
Così, gli Stati Uniti dimostrarono ancora una volta la loro arroganza e la loro doppiezza, tramutandosi da aggressori in aggrediti. Non Fece una gran figura neppure l’Unione Sovietica, partita in quarta e costretta poi a fare un’imbarazzante marcia indietro.
Fu, invece, il popolo di Cuba ad avere la parte migliore in questa vicenda, perché in tale frangente si mobilitò totalmente e dimostrò una grande dignità e una grande compattezza, rivendicando il pieno diritto al possesso di qualsiasi arma per scoraggiare i ripetuti propositi di invasione da parte di un nemico potente e prepotente.
Nella seconda meta di ottobre del 1962 in Italia, come nel resto del mondo, si vivono momenti d’ansia, momenti di paura per quanto sta accadendo a Cuba.
Non e in gioco solo il destino di questa piccola nazione: in quel momento se fosse scoppiata una guerra avrebbe coinvolto il mondo intero, Italia compresa.
Quel sabato 27 ottobre 1962 è una giornata molto piovosa, ma questo inconveniente non impedisce a centinaia di migliaia di lavoratori, studenti, semplici cittadini, di recarsi al l’appuntamento.
La Camera del Lavoro di Milano indice per saba to 27 ottobre 1962 uno sciopero generale – allora si lavorava anche in questo giorno della settimana – e una manifestazione con comizio finale, nel centro della citta, per la pace e in solidarietà al popolo cubano.
L’adesione delle fabbriche allo sciopero e impressionante, con percentuali d’astensione al lavoro dal 70 all’80%.
Alcune arrivano addirittura al 100%.
Giovanni Ardizzone era uno dei tanti. Era un ragazzo di Castano Primo, un paese a una trentina di chilometri a nord ovest di Milano. Figlio di un farmacista. era iscritto all’università al terzo anno di medicina. Durante la settimana viveva a Sesto San Giovanni in un collegio per studenti, per poter frequentare più agevolmente l’università.
Era un comunista, un intellettuale. Discuteva spesso con gli altri studenti del collegio per convincere i dubbiosi, gli indolenti, gli scettici, per fare capire loro l’importanza della mobilitazione delle masse per l’uguaglianza e la giustizia. Sotto la pioggia sferzante, in via Mengoni – la via intitolata all’architetto che ha costruito la Galleria e che sbuca in Piazza del Duomo • stava gridando con gli altri “Pace, pace, pace”, quando aH’improvviso le jeep della polizia si scagliano con i fari accesi contro la folla per disperderla, subito seguite dalle cariche degli agenti a piedi con manganelli e lacrimogeni.
Giovanni viene investito in pieno da una jeep, alle spalle, mentre correva a cercare un riparo.
Rimane II, a terra, con il giubbotto di fustagno marrone lacerato, il volto sporco e gli occhi sbarrati.
Ardizzone non fu l’unico colpito dalla violenza della polizia. Più in là, quella che prima era una bicicletta, ridotta a due tronconi informi e contorti, testimoniava il passaggio di tanta furia. Quel lavoratore che si era recato alla manifestazione in bicicletta rimase poi in ospedale tra la vita e la morte per diversi giorni.
Molti altri manifestanti vennero feriti, sia dagli automezzi lanciati a folle velocità contro di loro, sia dalla inaudita e ingiustificata violenza delle cariche di polizia. Il grido di “Pace, pace, pace” si tramuto subito in “Assassini, assassini, assassini”, con i dimostranti che lanciavano contro le jeep e contro i poliziotti tutto ciò che in quel momento avevano in mano: le aste di legno che sorreggevano gli striscioni e gli ombrelli.
In mezzo al fumo dei lacrimogeni e ai lamenti dei feriti, la gente costernata non riusciva a concepire come si potesse morire cosi, a poco più di vent anni, semplicemente gridando “pace”.
Lunedi 29 ottobre 1962 venne proclamato un altro sciopero generale e tutta Milano si fermo ancora una volta, in segno di lutto e di protesta per la morte del giovane, caduto per la pace e per la liberta di Cuba.
Si ringrazia (Archivio del Lavoro) di Milano per la documentazione fornita
Avete fatto bene a raccontare quest’evento, vivo in Italia da 25 anni e non avevo mai sentito parlare del assassinato di questo giovane. Quest’dimostra quanto poco sia cambiato tutto, i media, rigorosamente al servizio USA, fanno letteralmente schifo. La polizia poi lasciamo perdere, pensano di appartenere a la casta che comanda, non ci arrivano a capire che furono, sono e saranno sempre, solo e soltanto pedine sacrificabili in una scacchiera dove non contano nulla. Saluti!