Sindrome dell’Avana o Sindrome di Washington?

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Un uomo con alito alcolico entra in un locale dove si riuniscono gli studenti e picchia uno dei giovani. Più e più volte gli chiede di riconoscere la paternità della creatura che sua figlia porta in grembo. Il ragazzo riceve così tanti colpi che è quasi stremato. Quando l’aggressore offeso ritorna a casa, scopre che il test di gravidanza che ha trovato nella stanza di sua figlia non era di quest’ultima ma quello di una vicina.

Questo semplice aneddoto potrebbe illustrare la storia dei sintomi alla salute che importanti funzionari USA all’Avana hanno iniziato a riportare e relazionare ad un presunto attacco, proprio mentre si svolgevano le elezioni presidenziali che hanno portato al potere, a Washington, Donald Trump. Gli eventi eccezionali si sono prospettati all’interno di tale ambasciata dai pochi membri di un personale estraneo alle funzioni diplomatiche. In seguito, il presunto malessere si è esteso a un gruppo più ampio di impiegati.

Il 17 febbraio 2017, l’allora Incaricato d’Affari USA all’Avana ha inviato una lamentela al Ministero degli Affari Esteri (MINREX) in merito a presunti “attacchi” contro il suo personale, che, in teoria, si producevano dal novembre dell’anno precedente. Non si parlava, allora, di malattie o sintomi. Immediatamente, gli esperti cubani si sono mobilitati e hanno iniziato ad indagare, senza nemmeno chiedersi perché le informazioni non fossero state condivise, con loro, sin dal primo giorno.

Paradossalmente, le persone colpite non sono andate a ricevere cure mediche nelle cliniche dove sono sempre state curate all’Avana, come avevano fatto fino ad allora e continuano a farlo, ad oggi, i loro omologhi cubani a Washington.

Cinque giorni dopo il primo rapporto, funzionari cubani si sono incontrati con il capo della sicurezza dell’ambasciata USA e si sono accorti che lui non era a conoscenza di ciò che stava accadendo tra le persone che avrebbe dovuto proteggere. Poche ore dopo il nome di tale individuo è apparso su una lista di presunte vittime dei presunti attacchi ed è stato evacuato negli USA.

Cuba ha offerto la sua disponibilità a collaborare al chiarimento dei fatti, reali o meno, ed ha indicato che era molto importante la cooperazione con le agenzie USA. In modo tempestivo, sono state rafforzate le misure di protezione presso la sede e le residenze dei diplomatici e sono stati aperti nuovi canali di comunicazione.

Su indicazione del più alto livello del Governo di Cuba, è stata avviata un’indagine di polizia ed è stato nominato un comitato di esperti scientifico interistituzionale e interdisciplinare per analizzare le segnalazioni effettuate. Le indagini hanno concluso che non ci sono prove per dimostrare alcun attacco e che una così ampia varietà di sintomi non può essere attribuita ad una causa comune.

L’FBI ha visitato l’Avana quattro volte per condurre proprie analisi in completa libertà. Alla fine, le sue conclusioni hanno coinciso con l’opinione degli esperti cubani secondo cui non esistevano prove di attacchi, ma il Dipartimento di Stato ha respinto la proposta del Burò di far parte dell’indagine il Centro di Controllo e Prevenzione delle Infermità di Atlanta (CDC), che inoltre aveva una lunga esperienza di scambio scientifico con le controparti cubane.

Da gennaio a metà anno 2017, i funzionari dell’ambasciata USA all’Avana hanno richiesto un gran numero di visti affinché parenti stretti o amici potessero recarsi sull’isola e, in innumerevoli occasioni, hanno anche coperto le procedure per recarsi in altre province cubane per turismo. Questo comportamento non corrispondeva all’atteggiamento di un gruppo umano soggetto a qualche vessazione esterna.

In incontri privati di carattere diplomatico, i funzionari USA, sia a Washington che all’Avana, usavano il termine “attacchi” per riferirsi a fatti inspiegabili, mentre le loro controparti cubane hanno messo in guardia contro conclusioni affrettate e hanno ripetutamente esortato la consegna di prove concrete.

Tutte le limitate informazioni che sono state trasferite alla parte cubana attraverso il canale diplomatico sembravano disegnate per indurre in errore e documentare presunti fatti inesatti. In un’occasione si trattava di una mappa in scala ridotta della città dell’Avana con grandi punti rossi in luoghi diversi, che non consentivano di specificare il luogo esatto in cui avrebbe potuto essersi realizzato l’evento narrato. In un altro erano registrazioni di strani suoni che, misurati e confrontati con altri record, indicavano che corrispondevano al ronzio di insetti comuni sull’isola.

Dopo che il servizio di sicurezza diplomatico cubano concordasse con l’ambasciata USA un meccanismo per allertare in tempo reale le autorità del verificarsi degli incidenti, in diverse occasioni lo stesso non è stato utilizzato e in altre l’informazione è arrivata molto tardivamente.

Il Dipartimento di Stato si limitava a una breve riga di messaggi: qualcosa era successo all’Avana e la parte cubana doveva spiegarlo, anche senza che loro dicessero esattamente cosa era successo. In termini sportivi, era la cosa più simile alla pratica di tiro contro un bersaglio in movimento.

Il governo USA ha quindi iniziato a trasferire dall’Avana un gruppo di funzionari USA e le loro famiglie, che paradossalmente hanno reso pubblico la loro incomprensione del provvedimento ed il loro desiderio di ritornare ai loro posti. Vale a dire, questa massa non condivideva la teoria degli attacchi, o almeno li considerava di tale relativa importanza da potersi permettere il lusso di tornare. Tuttavia, questa possibilità è stata loro negata e la maggior parte è stata rapidamente ubicata ad altre funzioni.

Ad agosto, con lo stesso livello di imprecisione con cui era stato trattato il tema fino al momento, la notizia è arrivata ai media USA. Mesi dopo un altro giornalista coniava il termine di una presunta sindrome legata al nome della capitale cubana e, disciplinatamente, hanno armato teorie e speculazioni, sulla base di dichiarazioni e presunte fughe di notizie, volutamente inesatte e sensazionalistiche, di varie fonti ufficiali federali.

Quando si esaminano i resoconti della stampa di quei giorni, si può valutare che le informazioni sui presunti attacchi sono confluite al pubblico USA attraverso giornalisti specifici dei media indicati, il resto faceva solo eco senza formulare domande scomode, o mettere in discussione la storia ufficiale. Funzionari cubani hanno localizzato e parlato con i direttori di tali media, che non hanno mai potuto smentire che i loro giornalisti fossero utilizzati da fonti non identificate del governo USA che contribuivano a creare più confusione e non a cercare una spiegazione. Né hanno potuto giustificare la periodica reiterazione della questione, nonostante non avessero nulla di nuovo da informare.

Ci sono state speculazioni su presunte armi utilizzate negli attacchi che generavano suoni o onde, di cui non ci sono registrazioni di fabbricanti, piani o impronte. Si assegnavano ad esse capacità che non sono provate né dimostrate dalla scienza.

In assenza di consenso su una possibile “arma del delitto”, si è parlato allora di possibili commissari degli attacchi, che senza che nessuno ne documentasse l’esistenza, hanno potuto realizzare funzionari cubani “dissidenti” che, tra l’altro, non guadagnavano assolutamente nulla dal danneggiare le relazioni bilaterali o attori di paesi terzi. La reale dissidenza, in ogni caso, radicava a Washington, tra coloro che volevano ribaltare la politica del Presidente Barack Obama verso Cuba e avevano grande bisogno di un buon argomento, tangibile o meno, per iniziare a prendere misure che garantissero il processo di regressione.

In poco tempo, una parte significativa del pubblico USA credeva sia negli “attacchi sonici” sia che McDonalds e Coca-Cola fossero alimenti sani.

E’ stata Cuba e non gli USA a sollecitare una riunione dei Ministri degli Esteri per discutere la questione, che si è celebrata a Washington il 26 settembre 2017. Alla stessa è stata evidente che il più alto livello del Dipartimento di Stato non era informato dei dettagli delle indagini che l’FBI aveva condotto all’Avana.

Richiamava l’attenzione che l’allora segretario Rex Tillerson, un ex dirigente di alto rango della Exxon Mobile, società dove si spendono milioni di dollari nella ricerca di combustibili fossili solo se ci sono prove concrete che è situato in letti specifici, ha proceduto a danneggiare il rapporto bilaterale con Cuba senza alcuna prova materiale.

Durante quella visita a Washington DC, il ministro degli Esteri cubano ha presentato le sue argomentazioni al Congresso dell’Unione davanti a otto senatori e alla dirigenza della minoranza della Camera dei Rappresentanti e le loro controparti hanno apprezzato lo scambio. Il Congresso aveva celebrato fino a quella data (e lo ha fatto in seguito) diverse udienze private sul tema, ma assolutamente in nessuna si sono offerti dati utili da parte del governo, nemmeno sotto il velo del più ermetico segreto legislativo.

Dal Campidoglio, il Cancelliere è partito per il Club Nazionale della Stampa, dove ha incontrato i più importanti del gruppo di giornalisti USA che si occupavano di politica estera. Il Ministro cubano ha poi posto una lunga lista di domande sulle incongruenze del caso che permangono, ad oggi, senza risposta. L’impatto della sua presentazione sulla stampa USA, tuttavia, è stata marginale.

In successivi scambi successivi, il Dipartimento di Stato ha riconosciuto di non avere informazioni sulle precondizioni mediche dei suoi diplomatici prima di partire per Cuba, o per altre destinazioni, per cui non poteva affermare, né escludere, quali sintomi presentati da alcuni funzionari arrivati ​​di recente (che sono stati diversi) all’Avana non avessero causa in un malessere di cui soffrivano in precedenza.

Ma il Dipartimento di Stato aveva bisogno di dare un velo di credibilità a tale inconsistenza e finalmente è apparso un articolo sul Journal of the American Medical Association (JAMA) che, sebbene fosse scritto per dare una sfumatura scientifica all’accusa contro Cuba, aggiungeva, comunque, altri dubbi a quanto già detto e non pianificava alcuna tesi conclusiva. La parte cubana non ha nemmeno dovuto metterlo in discussione, perché di ciò se ne è occupato lo stesso Comitato Editoriale della pubblicazione che nella stessa edizione ha preso le distanze dal testo.

Poiché Cuba ha continuato a richiedere, con insistenza, un incontro tra scienziati di entrambe le parti per analizzare il tema, il Dipartimento di Stato ha solo acconsentito nel 2018 a far sì che un gruppo di funzionari di quell’agenzia ricevesse una delegazione ufficiale cubana. Quest’ultima ha presentato tutte le incongruenze riscontrate nel caso, mentre la parte USA ha sempre risposto con frasi tratte dall’articolo di JAMA. Tuttavia, in una dimostrazione di solidità professionale non comune per l’epoca, gli impiegati USA hanno chiarito che non hanno mai proposto alla dirigenza dell’agenzia federale di riferirsi ai fatti in questione come attacchi.

In quell’occasione, gli esperti cubani hanno propiziato, per proprio conto, un incontro a titolo personale con rinomate controparti USA in specialità legate al caso, dalla neurologia alla psichiatria. Ci sono state totali coincidenze nell’approccio di entrambe le parti. In assenza di trovare una sede che ospitasse una conferenza stampa per presentare i risultati del dibattito, l’Ambasciata di Cuba ha convocato i responsabili della stampa che avevano seguito la questione da molti mesi. C’è stato un vivace scambio di domande e risposte al riguardo, i giornalisti hanno scritto i loro dispacci, ma i loro rispettivi editori non hanno ritenuto il contenuto essere degno di notizia, quel giorno. Poco è stato pubblicato.

A questo punto, forse vale la pena mettere in relazione solo alcune delle domande che scienziati e osservatori di vari paesi (non solo cubani) hanno fatto fin dall’inizio alla prima versione ufficiale USA dei fatti:

Collen G. Le Prell, direttrice del programma di audiologia dell’Università del Texas: “la comunità degli audiologi si chiede quale potrebbe essere la causa dei sintomi descritti in questi casi poiché nessuno ha una buona spiegazione per questo” (…) “la repentina apparizione di perdita dell’udito senza che esista una fonte udibile è molto inusuale”. (Newsweek del 29 agosto 2017)

Andrew Oxenham, psicologo presso il Laboratorio di Percezione e Cognizione Uditiva dell’Università del Minnesota: “non posso spiegarmi che l’infermità e la perdita dell’udito sono legate con un suono … non c’è modo che un dispositivo acustico causi danno uditivo usando suoni non udibili. Non si può stimolare l’orecchio interno in un modo che potrebbe causare danno” (Buzz Feed News, 30 agosto 2017)

James Jauchem, biologo e scienziato in pensione che ha studiato gli effetti biologici dell’energia acustica nel laboratorio di ricerca dell’Aeronautica USA: “non si conoscono gli elementi che hanno i ricercatori per dichiarare che si tratta di un’arma acustica” (The Verge, 16 settembre 2017)

Joe Pompei, ex ricercatore del Massachusetts Institute of Technology, fondatore e presidente di Holosonics: “Non c’è mai stato alcun tipo di risposta fisiologica che rifletta i sintomi che sono stati riportati causati da onde sonore di qualche tipo.” (Business Insider, 29 settembre 2017)

Jurgen Altmann, fisico della Technische Universitat Dortmund in Germania: “Direi che è abbastanza inverosimile”, “Non conosco alcun effetto acustico che possa causare sintomi di commozione cerebrale”. (The New York Times, 5 ottobre 2017)

Jun Qin, ingegnere acustico della Southern Illinois University: “Il suono attraverso l’aria non può scuotere la testa”. “Gli ultrasuoni non possono viaggiare per lunghe distanze” (The New York Times, 5 ottobre 2017)

Adam Rogers, giornalista della testata Wired, specializzata in temi tecnologi, ha segnalato: “Continuano le avventure dell’incontro tra 007 e gli X-Files a Cuba” (Wired, 5 ottobre 2017)

Il rapporto di opinioni similari era infinito e continua ad esserlo a distanza di 4 anni. C’è stato un momento in cui i creatori della sindrome sono passati dalla spiegazione sonica degli attacchi, perché si faceva insostenibile, alla speculazione sulle microonde che, allo stesso modo, è stata insostenibile dalla scienza.

La già coniata “Sindrome dell’Avana” è stata un argomento utile per gli USA davanti alla propria opinione pubblica e a terzi per giustificare la chiusura dei servizi consolari della propria ambasciata nella capitale cubana, interrompere lì i servizi di immigrazione e cittadinanza, ridurre la presenza diplomatica cubana a Washington, emettere avvisi di viaggio a Cuba, ridurre il flusso di visitatori verso quella destinazione, porre in discussione l’impegno delle autorità cubane per quanto riguarda la sicurezza nel suo territorio per  diplomatici stranieri.

Ma cosa avrebbe guadagnato Cuba se realmente avesse molestato, in qualche modo, i funzionari USA? Qualcuno sano di mente può ritenere che le autorità cubane volessero una regressione nella relazione bilaterale che addizionalmente conducesse a nuove misure di blocco?

Non c’era un crimine, né vittime, né prova, né arma del delitto, ma neppure un movente. Allora, su cosa si è basata l’accusa lanciata, per mesi ai quattro venti, contro Cuba?

Con Tillerson già in pensione dal Dipartimento di Stato, il nuovo segretario Mike Pompeo ha voluto, in un certo modo, coprire le forme esprimendo: “la natura precisa delle lesioni sofferte dal personale colpito, e se esiste una causa comune a tutti i casi, non è ancora stabilita». Ma Pompeo proveniva dal dirigere la CIA, l’agenzia a cui appartenevano la maggior parte di coloro che insistevano di essere stati attaccati.

Per alcuni mesi i presunti attacchi sono sembrati essere un tema bilaterale tra USA e Cuba e si faceva riferimento ad un terzo, era in termini di “qualche potenza interessata a danneggiare i funzionari USA” che, prodotto di nuove speculazioni, è stata identificata come la Russia.

Tuttavia, la narrativa ufficiale USA ha preso una svolta inaspettata quando una funzionaria di quel paese ha colto i sintomi della sindrome, un po’ lontano dai Caraibi, in Cina (aprile 2018). Curiosamente, non si sono registrati eccessi nella condotta del Dipartimento di Stato e non si sono prese contro la nazione asiatica nessuna delle misure registrate nel caso di Cuba, tuttora in vigore. Sebbene altri importanti funzionari nello stesso paese abbiano cercato di sommarsi all’epidemia di attacchi, la versione ufficiale ne ha registrato solo uno e in poco tempo non è più stato nei titoli dei giornali.

La storia si è fatta ancora più inverosimile quando due persone diverse sono state registrate sotto i sintomi della “Sindrome dell’Avana” nel territorio USA nell’aprile 2021 e, successivamente, si sono aggiunti altri importanti funzionari USA in Germania e Austria nell’agosto 2021. In questi fatti, Washington non ha richiesto a Berlino o Vienna (né a sé stesso) ulteriori sicurezze per il comfort dei suoi cittadini, né si è ridotto il flusso di visitatori nazionali verso quelle destinazioni.

Se fossero vere tutte le speculazioni che si erano tessute su Cuba, come si esplicava ora che un potere maligno si muovesse per mezzo mondo, compresa la capitale USA, con un’ “arma” che si calcolava che debba essere della dimensione  di un carro armato, che dovrebbe emettere un suono abbastanza intenso da provocare danni al cervello, con una capacità direzionale così perfezionata da colpire solo persone selezionate e non quelle che si muovevano a pochi metri dal bersaglio?

Ed è accaduto l’inevitabile, la teoria che è stata creata per danneggiare i rapporti con un paese estero è stata utilizzata dalle presunte vittime per intentare azioni legali nei tribunali USA con l’accusa che il Dipartimento di Stato e altre agenzie non hanno protetto adeguatamente i propri dipendenti. Il cacciatore è finito cacciato.

In tutto questo tempo Cuba ha osservato un atteggiamento di totale attaccamento alla scienza, condividendo le opinioni e le analisi degli esperti cubani che analizzano, studiano e scambiano con le limitate informazioni disponibili e offrendo cooperazione senza lanciare speculazioni infondate. Tuttavia, dopo aver affrontato da sola, per un lungo periodo, le uniche misure punitive che Washington ha messo in atto a causa del verificarsi degli “attacchi”, c’è il diritto di pensare ad alcune generalizzazioni.

La maggior parte dei funzionari- vittime non sono diplomatici, bensì sono legati alle agenzie di intelligence USA. Gli stessi hanno condiviso non solo spazi fisici e isolati nelle ambasciate del loro paese all’estero, ma anche tecnologie specifiche nei loro luoghi di lavoro, nonché abitudini, condizioni e esigenze comuni che sicuramente li hanno costretti ad affrontare una elevata tensione psichica ed emotiva.

Sarebbe utile che le agenzie USA impiegassero più tempo in una visione introspettiva e, se non fossero disposte a farlo, almeno mostrassero un atteggiamento più coerente nell’affrontare il problema nel suo insieme. Se nulla di tutto questo fosse possibile, ci si aspetterebbe che rettificassero un modo di fare che hanno ereditato da una precedente amministrazione, attuato con il franco proposito di provocare una irreversibile retrocessione nelle relazioni bilaterali con Cuba.

Grazie al lavoro professionale di declassificazione dell’organizzazione USA National Security Archives, nel febbraio 2021 sono stati pubblicati tre rapporti sulla cosiddetta “Sindrome dell’Avana” scritti dal Dipartimento di Stato, il Centro per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie e le Accademie Nazionali delle Scienze, Ingegneria e Medicina degli USA. In tutti si è riflesso su ciò che è accaduto in relazione a questo tema durante gli anni di Trump: la mancanza di cooperazione delle agenzie che impiegavano i colpiti con cui hanno svolto le indagini, inesistente accesso ai soggetti coinvolti, decisioni precipitate da motivazioni politiche e assenza di una teoria che spiegasse l’attribuzione di sintomi diversi ad una causa comune.

In particolare, il menzionato rapporto del Dipartimento di Stato ha suggerito che la decisione di Donald Trump di smantellare l’ambasciata dell’Avana all’inizio del 2018, come reazione a presunti “attacchi sonici” contro il suo personale diplomatico, sia stata una “risposta” politica afflitta da cattiva gestione, mancanza di coordinamento e non adempimento delle normative. Lo stesso testo ha rivelato che l’ex presidente ha preso la decisione di ridurre il 60% del personale consolare all’Avana e disattivare il funzionamento dell’ambasciata, senza avere alcuna prova che Cuba fosse dietro i misteriosi problemi di salute che hanno colpito i suoi funzionari.

Testualmente, il rapporto affermava: “La decisione di ridurre il personale all’Avana non sembra aver seguito le procedure standard del Dipartimento di Stato e non è stata preceduta né seguita da alcuna analisi formale dei rischi e benefici della continua presenza fisica dei dipendenti del Governo USA all’Avana”.

A confessione di parte, non necessitano prove.

Saremmo entrambi d’accordo che la prossima volta che qualcuno esiga obbligazioni di paternità, debba prima mostrare prove di una gravidanza, o almeno non ricorrere a posizioni estreme.

Fonte: CUBADEBATE

Traduzione: cubainformazione.it

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