La differenza tra protestare da un ospedale a Cuba e negli Stati Uniti

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Cuba è attualmente il paese con il tasso di vaccinazione Covid-19 più veloce del mondo.

È anche l’unico paese che utilizza i propri vaccini, creati dal suo settore pubblico.

E il primo a immunizzare massicciamente sia le ragazze che i ragazzi.

Queste pietre miliari dimostrano che la campagna “SOS Cuba” lanciata due mesi fa in risposta a una presunta crisi sanitaria sull’isola non era un’iniziativa umanitaria, ma una grande operazione di destabilizzazione politica basata su fake news.

Ma ci sono media che, oggi, continuano ad accusare l’Avana di essere “irresponsabile” per non aver richiesto i vaccini Covax all’OMS.

Un meccanismo che, ad agosto, non aveva soddisfatto nemmeno il dieci per cento delle richieste.

Il Venezuela, per esempio, ha appena ricevuto il suo primo lotto, dopo aver pagato 120 milioni di dollari cinque mesi fa.

Cuba ha fatto bene a investire le sue scarse risorse nella creazione dei propri vaccini, da cui guadagnerà anche i proventi delle esportazioni. Niente di quello che si legge nella stampa internazionale.

Negli Stati Uniti ci sono 600.000 senzatetto e 27 milioni di persone soffrono di tossicodipendenza.

Ogni giorno, 227 persone muoiono per overdose di droga. Qualche giorno fa, un video registrato a Kensington, un quartiere di Philadelphia dove vivono migliaia di persone dipendenti da eroina e fentanyl, è diventato virale.

Alcuni media hanno fatto eco a questo video per analizzare la crudeltà del sistema capitalista negli Stati Uniti?

No. Per parlarci di “persone che sembrano zombie”. Ma si può immaginare un posto del genere a Cuba? Allora sì: ci parlerebbero del “fallimento del comunismo” e della necessità di un “intervento umanitario”.

Il governo cubano ha approvato il decreto legge 35, che criminalizza i reati nel campo delle telecomunicazioni: cyber-bullismo, fake news, cyber-attacchi, messaggi di odio…

Niente di nuovo nel mondo: la Germania ha approvato una legge simile nel 2017 e la Francia nel 2018, per citare solo due casi.

Ma per la stampa aziendale solo la legge cubana è censura e “legge bavaglio”. I media più ipocriti, quelli spagnoli, hanno giustificato per anni centinaia di multe e incarcerazioni per tweet o canzoni in Spagna.

Nel Regno Unito, per esempio, le leggi puniscono le attività digitali che causano “perdite economiche o danni commerciali”, o che “cercano di minare l’integrità, la prosperità e la sicurezza” del paese.

Ma Cuba deve accettare la palese propaganda delle sanzioni e del blocco economico che subisce; l’elogio pubblico di atti di violenza contro luoghi pubblici; o gli appelli diretti all’intervento militare sull’isola.

Perché, se si applicassero le stesse leggi che esistono nel Regno Unito, Cuba diventerebbe uno stato che viola la libertà di espressione.

A metà agosto, nella città cubana di Holguín, un gruppo di medici ha pubblicato un video sui social network, in disaccordo con il primo ministro cubano, che aveva criticato la “pigrizia” di alcuni professionisti nel pieno della pandemia.

C’era già una notizia: la “ribellione dei medici” sull’isola. Per quanto si sa, non ci sono state rappresaglie contro queste persone.

Questo è molto diverso da quello che è successo negli Stati Uniti, dove le critiche pubbliche da parte degli ospedali sono accolte con il licenziamento.

La Langone Health di New York, per esempio, ha avvertito il suo personale che parlare ai media senza autorizzazione sarebbe stato “soggetto ad azione disciplinare”.

Un medico d’emergenza a Washington è stato licenziato dopo essersi lamentato in un’intervista alla stampa della mancanza di attrezzature protettive, e un’infermiera a Chicago è stata licenziata dopo aver inviato una mail ai colleghi chiedendo maschere protettive. Ma dove la gente viene imbavagliata, come è noto, è… a Cuba.

Infine, dobbiamo ricordare che dalle reti, dai media e dalle istituzioni di Miami – con l’appoggio di alcune persone a Cuba – continuano ad essere lanciati messaggi di incitamento all’odio.

Blocco navale, invasione, uccisione di comunisti, occhio per occhio, intervento militare… Queste sono le proposte del sindaco di Miami Francis Suárez, di attivisti anticastristi come Orlando Gutiérrez Boronat o Guillermo Fariñas, o di youtuber come Alex Otaola, Liu Santiesteban e Ultrack.

“Se il regime cubano non si ravvede, o il mondo lo costringe a ravvedersi, scorrerà il sangue, perché il popolo cubano ha gridato a gran voca che ha perso la paura”.

Era un messaggio su Twitter di Camila Acosta, presunta “corrispondente” del giornale spagnolo ABC all’Avana.

In qualsiasi altro luogo del mondo, sarebbero state applicate dure leggi contro tutte queste persone, residenti o meno nel paese.

E Cuba, ricordiamolo, è un paese de facto… in stato di guerra.

Fonte: Cubainformación

Traduzione: italiacuba.it

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