Las Segovias, Playa Girón, Mar del Plata e… Los Angeles?
Il quadro su cui sono stati costruiti gli USA si sostiene sull’idea di essere un popolo eletto da Dio. Un seguito del discorso di tutti i suoi presidenti darà conto della presenza e continuità del concetto in tutti loro, sebbene abbiano avuto la precauzione di adattarlo a ogni momento storico.
L’influente analista politico USA di estrema destra, Patrick J. Buchanan, citando il suo collega, Charles Krauthammer, in un articolo pubblicato per un piccolo libro intitolato “The Purpose of the United States of America” scritto nel 1991 ma che ha una particolare validità nella congiuntura attuale, afferma che il “desiderio e il lavoro degli USA deve “integrarsi” con Europa e Giappone all’interno di un’entità “super sovrana” che è “economica, cultura e politicamente egemonica nel mondo”, aggiungendo che “questo nuovo universalismo […] richiederebbe il cosciente deprezzamento non solo della sovranità nordamericana, bensì anche della nozione di sovranità in generale. Non è così atroce come sembra”.
Questo è ciò che gli USA hanno recentemente iniziato a chiamare “comunità internazionale” e ciò che la Russia ha denominato “la comunità dell’11% del pianeta”. Secondo Washington, tutti quelli che non sono lì non esistono, cosa accettata nei circoli più reazionari di USA ed Europa.
Nel caso dell’America Latina e dei Caraibi, ciò è particolarmente aberrante al punto che sembra che a Washington, a volte, confondano il nome stesso del proprio paese. In un esercizio di dislessia organica, credono che invece di essere gli Stati Uniti d’America, in realtà siano “l’America degli Stati Uniti”.
Dal 1823, quando fu lanciata la Dottrina Monroe, in cui si annunciava che l’America doveva essere per gli americani, si faceva appello a una circostanza geografica composta da una varietà di paesi, ma il gentilizio era riservato agli USA che da allora, si autonominò come “America”. Bolívar aveva ragione quando, molto presto, segnalò che, sulla base di una ragione divina, gli USA sarebbero stati una piaga per la regione.
Come segnala il professor Demetrio Böersner nella sua nota opera “Storia delle Relazioni Internazionali dell’America Latina”, dall’inizio della fase imperialista degli USA, nel penultimo decennio del XIX secolo, Washington si propose avere una partecipazione attiva “negli affari politici dell’America Latina e assumere con decisione il ruolo di arbitro nelle relazioni internazionali americane”. In modo tale che le aspirazioni di marcare le linee guida del comportamento dei paesi latinoamericani è nel DNA della nazione imperialista del Nord America.
L’impronta egemonica USA è tornata a manifestarsi, ora nella convocazione del IX Vertice delle Americhe che si terrà a Los Angeles, California, in cui il presidente USA ha deciso di escludere Cuba, Nicaragua e Venezuela, paesi che non si subordinano ai dettami di Washington, tuttavia con sorpresa della Casa Bianca, una serie di nazioni hanno espresso il loro ripudio e rifiuto di tale decisione.
Per ragioni diverse, vari presidenti latinoamericani e caraibici non saranno presenti all’evento durante il prossimo mese di giugno. Sebbene ciò non significhi necessariamente che non ci sia alcuna rappresentanza di quei paesi, il solo fatto che si tratti di un vertice a cui si invia un funzionario di minor livello è un disprezzo verso il presidente USA che ha convocato l’evento.
I Vertici delle Americhe sono riunioni attraverso cui gli USA si sono proposti convocare e unificare l’intera regione quando scomparve l’Unione Sovietica. La “storia era finita” e il capitalismo sarebbe stato seminato per sempre su tutta la terra. Nel caso dell’America Latina, erano tempi in cui il settore più reazionario della politica USA aveva prodotto i documenti di Santa Fe in cui, tra l’altro, facevano un appello alla scomparsa degli eserciti latinoamericani perché gli USA si sarebbero fatti carico della difesa continentale mentre i governi locali dovevano solo essere responsabili della sicurezza interna.
Nei fatti, questi Vertici ebbero origine come espressione regionale del mondo unipolare che si pretendeva costruire. In pratica, fin dall’inizio, hanno considerato implementare un’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), che sarebbe dovuta entrare in vigore nel gennaio 2005, senza poterlo realizzare in quanto ripudiata da gran parte degli Stati americani.
Al Terzo Vertice, tenutosi nell’aprile 2001 in Canada, era stata proposta e approvata la creazione di questa Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA) sotto egemonia USA: e lì la sua grande proposta strategica per la regione. Ma al IV Vertice, svoltosi in Argentina, sotto la guida del Comandante Hugo Chávez e con il sostegno dei Presidenti Lula da Silva, Néstor Kirchner e altri, quel progetto è stato respinto. Gli USA continuano a provarci: il loro obiettivo è controllare politicamente la regione per -in questo modo- controllarla economicamente. Nella misura in cui ci sono stati governi che resistono al progetto, questo obiettivo non ha potuto essere raggiunto.
Cuba era sempre stata esclusa fino a quando non è stata invitata, per la prima volta, nella VII Edizione realizzatasi a Panama nel 2015. Durante l’amministrazione del presidente Obama ci sono stati indubbi tentativi di avvicinamento USA verso l’America Latina, ma nell’ VIIl Vertice tenutosi in Perù, il Venezuela è stato escluso.
In modo che sempre gli USA si sono arrogati il diritto di decidere chi vi assiste e chi no. Questo è ciò che sta impugnando il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador, che è stato assecondato dalla presidente dell’Honduras Xiomara Castro e dal presidente boliviano Luis Arce. Allo stesso modo, i paesi CARICOM (14 in totale) che hanno speciali relazioni amichevoli con Cuba e Venezuela) anche hanno detto che non parteciperanno se non sono invitati tutti i paesi. Che 14 piccoli paesi in territorio, ma immensi in dignità, osino respingere la decisione USA, è un segno molto importante dei tempi nuovi.
Per motivi diversi, Brasile e Guatemala hanno dichiarato che neppure loro parteciperanno all’evento. Nel caso del Brasile, i presidenti Bolsonaro e Biden non hanno mai avuto buoni rapporti. Bolsonaro ha apertamente sostenuto il presidente Trump per la sua rielezione e Biden non ha mai voluto riceverlo, oltre ad attaccarlo duramente per la cattiva gestione ecologica dell’Amazzonia.
Da parte sua, il presidente guatemalteco Alejandro Giammattei ha detto che non si recherà a Los Angeles in risposta alle critiche, realizzate dagli USA, alla sua decisione di rieleggere alla Procura generale Consuelo Porras, che è segnalata per la sua mancanza d’impegno nella lotta contro la corruzione. Giammattei ha detto che benché fosse stato invitato, non avrebbe partecipato.
Al di là di una ragione o dell’altra, queste manifestazioni mostrano un cambiamento nella scenario politico della regione di fronte a quella che potrebbe essere un’ecatombe di dimensioni trascendentali per gli USA e per il presidente Biden. In una prospettiva più ampia, va detto che questi eventi bisogna anche intenderli in una diversa dinamica globale che si produce in un momento in cui la Cina riafferma la sua leadership mondiale da una prospettiva diversa e la Russia gioca un ruolo rilevante nella propagazione del terremoto necessario per produrre cambi nella stagnante, ingiusta ed inefficace struttura internazionale. Allo stesso modo, altre nazioni del pianeta assumono un ruolo di primo piano in diverse regioni e settori dell’economia che si manifesta nella possibilità certa di un’espansione del gruppo BRICS come espressione del montaggio di una nuova gestione e conduzione degli affari globali che sembrano avanzare verso un’effettiva multipolarità.
I rifiuti della prepotenza USA esprimono che in America Latina e nei Caraibi si vive uno spirito diverso che punta alla necessità di una trasformazione strutturale del sistema internazionale, resa possibile nel contesto del declino dell’egemonia USA.
Davanti all’evidente situazione di crisi, Biden ha nominato l’ex senatore del settore liberale del Partito Democratico, Christopher Dodd, come suo collegamento personale con l’America Latina e i Caraibi per il Vertice. Inoltre ha inviato sua moglie, Jill, in un giro in alcuni paesi della regione per assicurare la sua presenza a Los Angeles.
Tutto ciò manifesta una certa destrutturazione del sistema burocratico del potere negli USA, Biden fa appello a una nuova diplomazia, in cui i “legami personali”, il direttore della CIA, i parlamentari, e persino sua moglie, hanno più rilevanza dello stesso Dipartimento di Stato, ciò che sta generando un malessere naturale nei diplomatici di carriera travolti dall’impronta presidenziale. Persino la stessa OSA, in precedenza strumento imperiale degli USA nella regione, è stata relegata in secondo piano.
In questo contesto, potremmo assistere alla fine di un’egemonia onnicomprensiva degli USA nella regione. Senza voler addurre situazioni ideali che l’attuale correlazione di forze non ci permette di affermare, è innegabile che i parametri stabiliti nella Dottrina Monroe e nel Destino Manifesto stanno cominciando ad essere corrosi dalla pulsione indipendentista dei popoli, come è avvenuto all’inizio del secolo XIX. Così potrebbe accadere che il Vertice di Los Angeles si trasformi in una vittoria tanto importante come quella avvenuta, nel 2005, in Argentina, comportando analogamente una forte sconfitta per gli USA.
Come Sandino a Las Segovias, il popolo cubano a Playa Girón, il No all’ALCA a Mar del Plata, Los Angeles potrebbe trasformarsi in una nuova sconfitta dell’imperialismo in America, questa volta nelle stesse viscere del mostro, come lo segnalò l’apostolo José Martí.
Fonte: La Pupila Insomne
Traduzione: cubainformazione.it
Ottimo articolo, che andrebbe diffuso capillarmente in tutta l’America per cercare di convincere gli Americani dell’atteggiamento sbagliato delle loro amministrazione nei confronti dell’America Latina.