Dare battaglia

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Bloccare gli account, disabilitare  profili, ridurre la visibilità dei media statali cubani e impedire l’espressione del pensiero rivoluzionario sulle reti digitali non è qualcosa che dobbiamo giudicare da un punto di vista morale: è qualcosa che possono fare e di cui sentono il bisogno fare, o perché vedono un pericolo in quella libera espressione o perché sono infastiditi dalla minima articolazione di pagine e gruppi nei loro territori.

Le reti digitali sembrano essere un regno di libertà assoluta. La sensazione di impunità che spesso generano, non essendovi conseguenze reali e gravi per il comportamento dei lori utenti, favoriscono un clima di tossicità e aggressività che si traduce in offese, aggressioni, calunnie, linciaggi, ecc.; ma porta anche le persone a credere che tutto può essere fatto in questi scenari; che non ci sono limiti.

Era il sogno ingenuo di alcune delle menti brillanti dietro la creazione di Internet: l’estensione digitale della nostra patetica esistenza fisica avrebbe cancellato tutte le contraddizioni, tutte le iniquità; avrebbe collocato gli esseri umani su un piano di completa orizzontalità.

Ma l’umano non può sfuggire all’umano, nemmeno quando si organizza sotto forma di algoritmi e codici binari. Il potere, quel vecchio problema della nostra specie, che risale ai tempi in cui ci siamo converti in “animali politici”, ha finito per infiltrarsi nell’Eden virtuale, come il serpente in Paradiso. Il suo morso continua ad avvelenare il cuore della società moderna: le molle analogiche dell’esercizio del potere (proprietà, autorità, denaro, classe) sono rimaste e sono state addirittura rafforzate dalle nuove tecnologie.

Una rete digitale come Facebook o Twitter, che qualcuno potrebbe pensare come un rifugio contro  dispotismi o comportamenti antidemocratici, non è altro che il prodotto di una società transnazionale, il cui principale interesse, per sua natura, è ottenere vantaggi economici. Il suo utilizzo è gratuito perché la sua fonte di profitto sono gli utenti stessi, che utilizza come vena per l’estrazione di dati e informazioni, che forniscono senza opporre resistenza e che colloca in segmenti-target per le sue operazioni commerciali. Sapere cosa pensiamo e cosa sentiamo e cosa vogliamo in ogni momento: il parossismo dell’espansione capitalista verso il nostro corpo ed il nostro spirito.

E non c’è niente di più dispotico e antidemocratico del capitalismo. Per questo non può sorprenderci il recente “golpe virtuale” contro la Rivoluzione: i padroni delle reti, che sono oggi in larga misura i padroni del mondo, sono inconciliabili antagonisti del socialismo. Sanno che noi siamo loro nemici e, con noi, non avranno alcuna considerazione.

Bloccare gli account, disabilitare  profili, ridurre la visibilità dei media statali cubani e impedire l’espressione del pensiero rivoluzionario sulle reti digitali non è qualcosa che dobbiamo giudicare da un punto di vista morale: è qualcosa che possono fare e di cui sentono il bisogno fare, o perché vedono un pericolo in quella libera espressione o perché sono infastiditi dalla minima articolazione di pagine e gruppi nei loro ambiti

La battaglia contro questo potere egemonico deve essere condotta su tutti i fronti, anche in quegli scenari in cui il nemico è trincerato e ci supera per schiacciante maggioranza delle risorse. Bisogna esserci sulle reti digitali, bisogna sempre cercare di trasmettere il nostro messaggio, qualunque cosa accada. Ma non pensiamo di usare questi strumenti allo stesso modo in cui i ribelli o i mambises hanno strappato i fucili ai loro avversari: usare una rete digitale non è possederla. E nello stesso modo in cui entriamo in esse, possiamo uscirne, persino più velocemente.

Sì, la battaglia va combattuta su tutti i fronti, ma non possiamo perdere di vista il fatto che dobbiamo saperla combattere con tutte le risorse che abbiamo a disposizione in quegli scenari che sono nostri. Dobbiamo portare il nemico in combattimento in posizioni tattiche che ci favoriscono. Tutto ciò che facciamo sulle reti, ma smettiamo di fare nei nostri mezzi di diffuissione, può avere la sorte dei castelli di sabbia. E, cosa ancora più importante, non possiamo lasciare che questo combattimento comunicativo ci sottragga tutte le energie dall’essenziale: intervenire nella realtà.

Ci cancellano dal loro mondo virtuale? Forgiamo la nostra controffensiva nelle strade, spazziamo il nemico nelle nostre comunità, nei nostri quartieri; esorcizziamo il popolo da ogni impotenza e liberiamolo da burocrati e speculatori; portiamo la critica rivoluzionaria con tutta la sua forza sui mass media. Che i più giovani non guardano la televisione né ascoltano la radio, che solo guardano il telefono? Bene, diamo il colpo di reazione nelle scuole.

Le reti sono loro, ma Cuba è nostra.

Fonte: Granma

Traduzione: cubainformazione.it

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